Silvio Grasselli/Cinematografo.it

La galleria dei volti e dei corpi politici del cinema di Daniele Segre si arricchisce di una figura in più. Un documentario asciutto e conciso registra il racconto che Lisetta Carmi rende al regista, alla sua videocamera, al suo ascolto devoto. All’incipit incerto, retorico, inutilmente macchinoso, seguono immagini essenziali e brillanti, e sopra tutto la voce sicura della protagonista. Fin oltre la metà del film si procede lentamente in salita. Agli aneddoti biografici sull’infanzia, l’adolescenza, le prime esperienze formative, si sostituiscono presto le avventure della giovane Carmi, l’appassionata ricostruzione delle origini d’una bruciante necessità di conoscenza. Dalla musica al giornalismo, poi subito la fotografia. Si passa così al discorso sulle immagini. Segre e Carmi iniziano a esaminare, uno accanto all’altro, gli scatti in bianco e nero accumulati in diciassette intensissimi anni di attività: dall’inchiesta sui portuali di Genova ai ritratti dei travestiti, dai reportage sulle condizioni di vita in Sud America fino alla fulminante apparizione scritta su carta fotografica del vecchio Ezra Pound. Il film di Segre assume in alcuni tratti l’andatura del saggio, poi torna alla biografia; l’incontro con la religione e con il cammino spirituale orientale segna la fine della necessità di usare altre mediazioni per incontrare e conoscere l’Altro. Così il finale è uno spento accartocciarsi di didascalie visive. Segre alterna con lucidità il piano immobile del volto della protagonista ai dettagli delle fotografie in bianco e nero: un doppio studio sulla luce, si potrebbe dire, il raddoppio e la moltiplicazione della tensione conoscitiva che Carmi ha diretto per una vita intera verso le anime delle persone passando attraverso la brillantezza dei loro corpi, dei loro sguardi. Un tentativo di fermare l’immagine cinematografica (audiovisiva), di ridurla al minimo, di renderla essenzialmente la trascrizione di un passaggio di tempo, accostandola e incrociandola a quella fotografica osservata come attimo dilagante, istante “immortalato”, esplosione luminosa del frammento infinetisimo di mondo.